Scritto e interpretato da Nadia Spicuglia

è così difficile venire al mondo e chi mai avrebbe potuto immaginarsi
che sarebbe stato ancora più difficile riuscire a starci

Quando ero bambina chiesi a mia sorella maggiore: «Come si fanno i bambini?». Con uno sguardo volutamente serio e di rimprovero che nascondeva il suo imbarazzo mi rispose: «I bambini sono il frutto dell’ amore di mamma e papà!».
Da sempre nell’immaginario collettivo, artistico, sociale  la figura della donna è stata associata ai simboli di bellezza più reconditi; da sempre la donna è associata alla rappresentazione di madre ed è vincolata per natura ad un fondamentale destino, quello biologico ovvero quello di “procreare le generazioni future”. Ma quali sono le circostanze che determinano il concepimento di un individuo? Qual è la cornice di un momento così magico e prezioso? Dove affondano le nostre radici? Qual è il respiro che ci genera? Di quale grido noi siamo la voce?
“Senza jabbu” è una storia antica, che si tramanda da sempre di generazione in generazione. “Senza jabbu” vuole essere la  rottura di silenzi intrappolati dall’ignoranza, dal pudore, dall’incoscienza, dalla violenza o dalla non curanza.
Avremmo tanto voluto essere i figli delle stelle (e chissà…forse in parte lo siamo) ma in realtà siamo i figli dell’odio, dell’arroganza,  del terrore, dello sfruttamento e delle guerre.
I genocidi non sarebbero mai più dovuti accadere ma guerre e scontri etnici sono costantemente sotto i nostri occhi attraverso gli schermi televisivi che offrono ripetutamente messaggi di disumanità dell’uomo verso l’uomo e che trasformano inevitabilmente i corpi delle donne in campi di battaglia.
“Senza jabbu” è una storia vera avvenuta in Sicilia, e non solo. “Senza jabbu” è il racconto di tante storie vere di donne e di bambini, di uomini e donne, di generazioni.
“Senza jabbu” è una presa di coscienza che attraverso un linguaggio poetico  racconta  il bene  che mi ha generato, le difficoltà di affrontare e superare momenti difficili, le violenze fisiche e psicologiche di cui si è vittime inconsapevoli che molto spesso costringono a restare in silenzio per paura, per vergogna.
“Senza jabbu” racconta, attraverso un lavoro di recupero, memorie e fatti, affinché rimangano impresse nei ricordi…“senza meravigliarsi”.

SINOSSI
«Alfio era il suo bambino. Morì appena nato. Lei non lo dimenticò mai… MAI! Quando era incinta rimase immobile cuccata no lettu, per nove mesi. Manciava cuccata. Viveva cuccata. Rireva cuccata. Chianciva cuccata. Leggeva cuccata. Pisciava cuccata. Cacava cuccata. A niatri picciriddi ni piaciva iri a virilla… Pi viriri comu faceva i bisogni… I so bisogni. Poi Alfio nasciu e mancu u tempu di impararisi a ririri muriu. Poviru picciriddu appi sulu tempu di farisi  na Chianciuta. U sentimmu nasciri, u sentimmo chianciri, u vistimu moriri. Iu vuleva sapri una cosa… allora come nascono i bambini l’avevo capito, anzi l’avevo spiato, ma non mi tornava un conto: Ma comu ci finiu Alfiu docu rintra? Qualcuno per caso me lo saprebbe dire come si fanno i picciriddi?»
Un sogno premonitore: l’annuncio di una gravidanza inaspettata e una domanda tra tanti ricordi: com’è che si fanno i bambini? La protagonista di questa storia, rimasta orfana da bambina, viene affidata alla nonna paterna, una donna profondamente insensibile e severa. Una sera, costretta ad uscire di nascosto per andare ad una festa, è vittima di violenza da parte di un uomo che la distrugge ed in lei genera un frutto amaro nel suo grembo…

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